Il patto di famiglia e il contratto in forza del quale “compatibilmente con le disposizioni in materia di impresa familiare e nel rispetto delle differenti tipologie societarie, l’imprenditore trasferisce, in tutto o in parte, l’azienda, e il titolare di partecipazioni societarie trasferisce, in tutto o in parte, le proprie quote, ad uno o più discendenti”.
Il patto di famiglia è quindi un vero e proprio contratto che consente all’imprenditore, quando è in vita, di trasferire la sua azienda, o le relative partecipazioni sociali, al discendente (figlio o nipote) che ritenga più idoneo (per capacità, merito o attitudine) a proseguire l’attività d’impresa. In pratica, attraverso il patto di famiglia si agevola il mantenimento e la conservazione dell’integrità dell’azienda, e mediante una deroga al generale divieto di patti successori, viene stipulato un accordo preventivo fra gli eredi stabilendo anticipatamente chi, fra gli stessi, dovrà occuparsi in futuro dell’impresa.
Per contemperare gli effetti del Patto, il beneficiario prescelto per la futura gestione dell’azienda o delle partecipazioni societarie, ha l’obbligo di “compensare” gli altri partecipanti al contratto – individuati dall’art. 769-quater, cod. civ. nel “coniuge e tutti coloro che sarebbero legittimari ove in quel momento si aprisse la successione nel patrimonio dell’imprenditore” – con il pagamento di una somma corrispondente al valore delle quote riservate ai legittimari: in altre parole, cioè, i soggetti che pur avendone diritto non hanno ricevuto l’azienda o le partecipazioni sociali devono essere «liquidati» con il pagamento di una somma corrispondente al valore della propria quota di legittima.
Riassumendo, quindi, attraverso l’istituto del patto di famiglia si può «destinare» l’impresa al discendente che si ritiene più idoneo nella prosecuzione dell’attività di impresa, mentre a favore dei legittimari non assegnatari - che magari sono pure disinteressati alla conduzione dell’attività aziendale - vengono corrisposte somme di denaro corrispondenti al valore della quota di legittima.
Evidente è dunque la natura liberale del patto di famiglia, poiché con l’istituto il disponente mira a realizzare l’arricchimento dei soggetti coinvolti (assegnatario e legittimari non assegnatari) per puro spirito di liberalità. Nondimeno, l’istituto è scelto dagli operatori economici anche per finalità secondarie, basti pensare il garantire una certa stabilità alle attribuzioni, prevenendo eventuali controversie ereditarie che avrebbero potuto anche solo astrattamente compromettere la stabilità dell’azienda e degli asset produttivi.
Tenuto conto di ciò, il patto di famiglia non realizza una mera donazione, quanto, piuttosto, una liberalità con funzione successoria. Le attribuzioni effettuate in forza del contratto (sia a favore dell’assegnatario sia a favore dei legittimari non assegnatari) sono difatti tutte causalmente orientate alla successione e volte ad attribuire stabilità al passaggio generazionale. In altri termini, e stando alla migliore dottrina, tutte le attribuzioni realizzate (assegnatari e legittimari non assegnatari) con il patto di famiglia danno vita ad una “vicenda sostanzialmente unitaria”, la quale viene ricondotta dalla dottrina maggioritaria all’interno dello schema della donazione modale.
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